Caporalato a Latina: azienda sfruttava braccianti agricoli stranieri

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I militari della Guardia di Finanza di Latina, coordinati dalla locale Procura della Repubblica, hanno eseguito una serie di misure cautelari personali emesse dal Gip, presso il Tribunale pontino, mettendo fine ad una collaudata attività criminale dedita al sistematico sfruttamento dei braccianti agricoli di nazionalità prevalentemente indiana. Il fenomeno del “caporalato” è una piaga del lavoro sommerso in Italia.

Caporalato a Latina: le indagini della Guardia di Finanza

L’operazione di polizia economico-finanziaria denominata “δοῦλος” (dal greco antico “servo”, “schiavo”), è iniziata da un controllo in materia di lavoro sommerso, eseguito dai Finanzieri della Tenenza di Sabaudia nei confronti un’importante azienda agricola pontina, ha permesso di accertare come la società, grazie all’opera dell’amministratore e di altri soggetti in posizione direttiva, abbia impiegato nel lavoro agricolo e nelle unità locali operative in provincia di Latina, oltre 290 lavoratori in condizioni di assoluto sfruttamento e prevaricazione.

Nel corso delle indagini, è emerso, grazie alla documentazione extracontabile acquisita all’esito di mirate perquisizioni locali disposte dall’A.G. pontina, che gli indagati, approfittando dello stato di bisogno di numerosi lavoratori stranieri, hanno proceduto non solo alla corresponsione di retribuzioni orarie sensibilmente inferiori a quelle previste dai contratti collettivi di categoria, ma anche all’impiego effettivo della manodopera per un numero di ore di lavoro settimanale di gran lunga superiore a quello formalmente risultante nella documentazione aziendale “ufficiale” (formalmente ineccepibile) concernente i relativi rapporti di lavoro subordinato (contratti di lavoro, buste paghe, registro
presenze ed altro).

Condizioni di lavoro degradanti

Le condizioni di lavoro e i metodi di sorveglianza pressanti e degradanti, attuati dai responsabili dell’area amministrativa e di controllo del personale, sono stati tali da generare nei lavoratori stranieri un totale assoggettamento psicologico al “datore di lavoro”. Quest’ultimi, infatti, avevano estremo bisogno di mantenere le proprie famiglie d’origine. In alcuni casi, infatti, i lavoratori sono stati costretti a rinunciare al riposo settimanale o alla fruizione di ferie.

Lo sfruttamento dei braccianti agricoli ha consentito all’azienda non solo di risparmiare sensibilmente sul costo della manodopera, a discapito delle fasce più deboli, ma anche di attuare una grave concorrenza sleale a danno degli altri operatori economici “onesti” del settore, grazie al mancato pagamento alle casse dell’INPS dei maggiori contributi previdenziali e assistenziali ammontanti ad oltre 110.000,00 euro.

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