Alle prime ore di questa mattina, personale del Servizio Centrale Operativo, della Squadra Mobile di Roma e del Commissariato di PS “Romanina”, coadiuvato dal Reparto Mobile, dal Reparto Prevenzione Crimine e dalle Volanti dell’U.P.G.S.P., ha dato esecuzione a un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa dal G.I.P. del Tribunale di Roma, su richiesta della locale Direzione Distrettuale Antimafia, nei confronti di:
1. DI SILVIO Enrico classe ‘47
2. DI SILVIO Alevino classe ’55
3. DI VITALE Silvio, classe ‘62,
4. DI SILVIO Anacleto detto“er mortadella”, classe ‘67;
5. DI SILVIO Alfredo detto “Augù”, classe ‘70,
6. CASAMONICA Ivana, classe ’70
Sono ritenuti responsabili, a vario titolo, di tentata estorsione ed estorsione aggravate dal metodo mafioso, spaccio di sostanze stupefacenti, usura ed esercizio abusivo dell’attività finanziaria. Tra i destinatari dell’odierno provvedimento restrittivo, tutti legati da vincoli di parentela, è presente anche Enrico Di Silvio, già condannato in via definitiva nell’ambito del procedimento penale relativo alle note vicende del “Roxy Bar”.
Casamonica, l’operazione “Cardè”
L’odierna operazione, denominata “Cardè” è frutto dell’attività d’indagine svolta a seguito del cruento episodio avvenuto il 1 aprile 2018, quando all’interno del “Roxy Bar”, sito nel quartiere Romanina, precisamente in via Barzilai, si verificò una violenta aggressione ai danni del titolare dell’esercizio commerciale e di una donna portatrice di handicap che aveva “osato” prendere le sue difese, perpetrata da Antonio Casamomica (classe 92), Alfredo Di Silvio (classe 96) e Vincenzo Di Silvio (classe 90).
Le indagini svolte in quella circostanza consentirono non solo di individuare i predetti soggetti quali autori delle violenze ma, altresì, di accertare una serie di soprusi subiti nel corso del tempo dai gestori dell’esercizio commerciale, e una reiterata attività intimidatoria, posta in essere anche dal Enrico Di Silvio, nonno di Vincenzo e Alfredo, finalizzata a convincere le vittime a non presentare o ritirare la denuncia nei loro confronti. Le condotte criminose in quella circostanza hanno rappresentato una evidente ostentazione del potere dei Casamonica/Di Silvio su un territorio che considerano sottoposto al loro dominio, come chiaramente rimarcato da uno degli aggressori con le frase: “Qua comannamo noi” e “Non ti scordare che questa è zona nostra“.
Le indagini hanno evidenziato anche l’omertà dei presenti al bar
La loro azione di forza tesa a garantire l’omertà e la reticenza dei numerosi avventori, rimasti inermi, presenti all’interno del bar, doveva fungere anche da monito per gli altri abitanti del quartiere, con conseguente assoggettamento degli stessi alla loro supremazia. La configurabilità dell’aggravante mafiosa per i reati perpetrati durante il raid al “Roxy Bar” è stata non solo riconosciuta dal Giudice per le Indagini Preliminari in sede di applicazione di misure cautelari, eseguite l’8 maggio 2018, ma altresì confermata in primo grado e, successivamente, in sede di gravame.
Le condanne ai Casamonica/Di Silvio
I fratelli Alfredo e Vincenzo Di Silvio ed il nonno Enrico, in prima battuta sono stati condannati, con rito abbreviato, poiché ritenuti responsabili, a vario titolo, dei reati di violenza privata, lesioni e minacce, aggravati dal metodo mafioso. Le condanne commissionate sono state così suddivise: Alfredo Di Silvio 4 anni e 10 mesi di reclusione, Vincenzo Di Silvio 4 anni e 8 mesi di reclusione ed Enrico Di Silvio 2 anni e 11 mesi di reclusione. Stessa sorte è toccata a Antonio Casamonica, giudicato con rito ordinario, la cui condanna, per lesioni e violenza privata aggravate dal metodo mafioso, è stata confermata dalla Corte di Appello di Roma, con la rideterminazione della pena ad anni 6 di reclusione, ed è divenuta definitiva con la pronuncia della Corte di Cassazione.
A seguito dell’esecuzione delle ordinanze cautelari relative all’episodio del “Roxy Bar“, le indagini sono proseguite e si sono focalizzate sugli altri componenti delle famiglie, Casamonica/Di Silvio, tutti residenti nel quartiere Romanina, tra via Devers e via Barzilai.
Gli altri capi d’accusa
Le indagini hanno consentito di acclarare che i coniugi Ivana Casamonica e Anacleto Di Silvio (genitori di Alfredo e Vincenzo) svolgevano quotidianamente attività di spaccio di sostanza stupefacente del tipo cocaina. Le cessioni effettuate nei confronti di numerosi clienti avvenivano all’interno o nei pressi dell’abitazione dei coniugi, sita in via Barzilai, previ accordi telefonici caratterizzati dall’utilizzo di termini convenzionali quali “pane” e “ricette”. Era soprattutto la donna ad occuparsi del confezionamento e della vendita dello stupefacente, mentre il marito, oltre a mantenere i contatti con i fornitori, svolgeva anche il ruolo di “vedetta” in strada. L’attività di spaccio, oltretutto, ha evidenziato altre condotte estorsive.
Casamonica/Di Silvio: soldi chiesti per sostenere le spese legali dei figli denunciati
A seguito degli arresti connessi ai fatti del “Roxy Bar”, Ivana Casamonica infatti aveva preteso da un abituale “cliente” somme di denaro per sostenere le spese legali dei figli detenuti. Sfruttando la soggezione psicologica in cui lo stesso versava, la donna con larvate minacce era riuscita a estorcergli del denaro.
Attività di usura dei Casamonica
L’attività investigativa, inoltre, ha ulteriormente comprovato l’attività tipica dei Casamonica/Di Silvio, ossia il prestito di denaro a tassi usurari e l’esercizio abusivo del credito. L’usura si è rivelata la principale attività di Enrico Di Silvio, il quale ha continuato ad esercitarla, nonostante la sottoposizione agli arresti domiciliari per le vicende del “Roxy Bar”, con l’ausilio del genero Silvio Di Vitale, compagno della figlia Angelina e del fratello Alevino, arrivando a pattuire interessi pari al 102,5% annuo e a chiedere in garanzia cambiali con importi ben superiori rispetto al capitale erogato.
Le conversazioni intercettate hanno consentito di far emergere come il duo non ha consentito di collegare la relativa restituzione delle somme a un tasso usurario. In particolare, era Di Silvio a versare ai richiedenti le somme e a gestire i “piani di rientro” dei prestiti, mentre Di Vitale, anche in considerazione dell’intervenuto arresto di Enrico, incontrava direttamente i debitori per riscuotere le rate.
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