Non una, bensì tre volte la donna domandò al personale medico-sanitario a quale destino sarebbe andato incontro il feto dopo l’aborto e per tre volte le è stata fornita la stessa risposta: “Non sappiamo“. Inizia così l’incubo di un’altra donna, che pochi giorni fa ha scoperto che anche il suo nome è ora riportato su una croce nel cimitero Flaminio, a Roma, dove l’embrione è stato sepolto. La testimonianza, arrivata su Facebook dopo che un’altra donna coraggiosa aveva rivelato l’esistenza di questa pratica che viola privacy e intimità, è però seguita da un intento preciso: far partire una azione legale collettiva che possa fermare questa operazione.
Cimitero Flaminio: il camposanto delle madri
E’ frutto di una rigida applicazione del Regolamento di polizia mortuaria la formazione, presso il cimitero Flaminio di Roma, di un vero e proprio camposanto delle madri. Ogni feto abortito è sepolto proprio lì, sotto una croce in metallo che riporta il nome della madre, violando così la privacy della donna e la sua intimità. La scoperta è stata fatta per caso pochi giorni fa ed è stata seguita da una denuncia. Dopo questa prima testimonianza, molte altre hanno iniziato ad apparire su Facebook e fuori dai social; ora è l’ufficio legale di Differenza donna a raccogliere tutte le segnalazioni al fine di promuovere una vera e propria class action. Anche all’interno di Regione Lazio c’è chi si fa avanti per difendere la causa: “A legislazione si risponde con legislazione: dobbiamo spingere il governo a rivedere il regolamento del 1990 – dichiara Marta Bonafoni, capogruppo della Lista Zingaretti in Consiglio regionale – Noi, come Regione, possiamo valutare o un regolamento attuativo, una declaratoria, po una legge regionale ancora più stringente per eliminare la discrezionalità che ha portato al caso del cimitero Flaminio“.
Continua a seguirci su Roma Metropolitan Magazine.