Nella Basilica di Santa Sofia, a Roma, moltissime auto portano beni di prima necessità da inviare in Ucraina. All’esterno è stato allestito un grande parcheggio diviso in settori per gestire il transito dei mezzi. Il sagrato della chiesa si è trasformato in un centro di imballaggio all’aperto. Una catena di montaggio umana raccoglie ciò che viene consegnato, dividendolo per categorie e c’è chi si occupa di riempire e chiudere i pacchi che vengono caricati su camion e furgoni.
Dalla Basilica di Santa Sofia parte la mobilitazione della comunità ucraina
L’attacco da parte della Russia ha intaccato anche chi è da tempo fuori dal Paese. C’è chi si reca nei centri di raccolta per inviare vestiti, cibo e medicinali in Ucraina. C’è chi ospita a casa i connazionali in fuga dai bombardamenti e c’è chi, invece decide di tornare in patria per combattere contro i russi. Si cerca, insomma, di fare il possibile per aiutare, anche a distanza.
Padre Marco Semehen, rettore della Chiesa e referente dell’organizzazione degli aiuti umanitari, racconta: «Fino ad oggi abbiamo caricato 12 camion. Di questi, 10 sono già in viaggio e due in attesa che si concludano le procedure burocratiche. Oggi speriamo di poter caricare altri 6/8 camion, perché c’è tanta roba da mandare. Poi abbiamo tre furgoni con le medicine che speriamo di far arrivare a Kiev o almeno nei pressi, attraverso la Croce Rossa e altre realtà che hanno la possibilità di entrare e arrivare negli ospedali della capitale dove hanno tanto bisogno.»
La Basilica si è trasformata anche in un punto dove incontrare connazionali e scambiare informazioni che arrivano dal Paese in guerra: qualcuno piange, altri si abbracciano. Riuscire a parlare con amici e parenti è l’unica consolazione.
«Mio padre non può lasciare l’Ucraina – racconta Irina – ha 58 anni e quindi è ancora in età per essere arruolato. Sono molto preoccupata per lui e temo per la sua vita perché vive a Kiev.»
Alexander, un giovane di 28 anni, dice che quelli che dall’Italia sono ritornati per arruolarsi e combattere sono eroi. Lui ammette che non tornerà in Ucraina perché sua moglie ha paura, ma sostiene che sono molti i connazionali partiti dall’Italia in questi giorni per raggiungere l’Ucraina. Nonostante il codice penale italiano punisca «chiunque nel territorio dello Stato e senza approvazione del Governo arruola o arma cittadini, perché militino al servizio o a favore dello straniero», dall’Italia e dall’Europa sarebbero partiti circa ottantamila ucraini.
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