Covid-19 a Roma, parla il primario: “Costretti a scegliere chi curare”

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L’emergenza Covid-19 a Roma non si placa e le terapie intensive sono praticamente sature. La pressione sugli ospedali, che intento hanno rinviato diversi ricoveri programmati, non è più gestibile ed i medici sono costretti a scegliere a chi dare chance di vita. La situazione è stata fotografata dal direttore del centro Coronavirus dell’ospedale sulla Cassia.

Dalla giornata di ieri, la Regione Lazio è ufficialmente entrata nella zona arancione dopo aver trascorso due settimana nella fascia di restrizioni più arcigna. La situazione, dopo le varie chiusure, sembra non essere migliorata con i numeri dei contagi e delle terapie intensive che si fanno sempre più ampi a Roma. Il primario di uno dei centri Covid-19 a Roma ha rilasciato un’interessante intervista a Il Messaggero dove spiega, perfettamente, la situazione attuali negli ospedali rispetto alla pandemia.

Covid-19 a Roma, il primario: “Terapie intensive sature”

 Simone Bianconi, pneumologo, direttore del centro Coronavirus dell’ospedale sulla Cassia (zona nord di Roma) ha risposto, sulle colonne del quotidiano romano, a diverse domande fotografando la situazione attuale: “Un mese fa avevamo posti a iosa. Ora siamo pieni. I letti? Siamo saturi. Di fatto, si fanno delle scelte. Donna di 94 anni contagiata nella casa di riposo di Fiano Romano? A quella età le possibilità che tu possa uscire da una gravissima insufficienza respiratoria sono bassissime. Noi la terapia intensiva la riserviamo alle persone che possono avere una chance di uscirne“.

I criteri di scelta: “Decidiamo caso per caso, non è una questione meramente anagrafica. Certo, un ultra-novantenne è veramente anziano. Un soggetto più giovane può avere delle possibilità. Sia chiaro: non è che una persona molto anziana col Covid sia destinata al decesso, ma lo deve avere in una forma lieve, simile a un raffreddore. Se sviluppa una polmonite con un’insufficienza respiratoria grave, le possibilità sono scarsissime. Per un paziente di 90 anni o più, è anche una questione di eticità: portarlo in terapia intensiva significa sedarlo e far sì che il respiratore sostituisca il suo apparato respiratorio. Poi tornare indietro è molto difficile“.

Le varianti più aggressive: “La variante inglese oltre ad essere sicuramente più contagiosa sembra avere un tasso di aggressività maggiore. A ottobre il 50enne col Covid spesso se la cavava con una forma simile a un’influenza. Ora invece ha molte più possibilità di sviluppare una polmonite con un’insufficienza respiratoria grave. Stiamo ricoverando anche 20enni che hanno bisogno dell’ossigenoterapia. A ottobre non capitava. Abbiamo dovuto sottrarre il personale della rianimazione alle attività ordinarie, chiudendo le sale operatorie, che ormai restano attive soltanto per le urgenze o per i tumori. Tutto il resto è stato chiuso. Non siamo riusciti a fare assunzioni“.

Il momento attuale: “Oggi usiamo altri farmaci, non somministriamo più l’idrossiclorochina, per esempio, mentre sfruttiamo l’eparina. Sono cambiati i tempi di intubazione. Quando è arrivato, il Covid-19, era un male sconosciuto. Oggi lo è molto meno. La crescita dei posti letto è costante, ma ora siamo pieni. Ogni giorno dobbiamo dimettere pazienti per creare spazio. È un equilibrio molto delicato, molto sottile. Se penso a 30 giorni fa, avevamo posti in abbondanza. Ora siamo saturi. Siamo a 52, ma eravamo partiti da 20 quando abbiamo aperto, a marzo di un anno fa. Sono 40 letti nel reparto Covid ordinario, più 4 posti di terapia intensiva e altri 8 in sub-intensiva. I malati gravi di oggi sono quelli di 2-3 settimane fa? In buona parte sì. I vaccini stanno funzionando, oggi ricoveriamo pochi ultra-ottantenni, mentre a marzo e ad aprile 2020 erano la maggioranza, quasi tutti dalle Rsa. Ma per quanto riguarda la pressione ospedaliera, ancora non beneficiamo dell’effetto della campagna di vaccinazione. Abbiamo ancora tanti ricoveri, anche se l’età media si è molto abbassata“. 

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