I profughi accolti dai romani: la storia di Elena, Renato e la “nuova” famiglia

Due romani, abitanti del quartiere Trieste, hanno dato ospitalità a dei profughi ucraini: una mamma con i suoi 3 bambini. Con questo gesto è cambiata la loro quotidianità. È importante dare accoglienza a chi fugge lontano dalla guerra.

Profughi di guerra arrivati in Italia, una mamma ucraina e suo figlio

Picnic a Villa Borghese, Tony rimane pietrificato nel sentire la lingua utilizzata dal gruppo per rivolgersi a lui: il russo. Prova timore, in quanto è arrivato da poco da Stari Kuty, cittadina rurale dell’Ucraina occidentale, non lontano dal confine romeno, dalle bombe e dall’invasione dell’armata di Putin. Tony ha 13 anni e trascorre una normale domenica insieme al suo coetaneo Edoardo e alla mamma italiana, Elena. Loro lo ospitano insieme alle sorelle Helka di 5 anni e Veronika di 2. Le loro rassicurazioni sono vane: “Russians not good, they kill moms and kids“. I russi non sono buoni, uccidono le mamme e i bambini. In un inglese estremamente semplice, il bambino comunica la paura e il l’orrore causato dal conflitto.

Un viaggio lungo 30 ore

Per giungere a Roma, hanno dovuto raggiungere Leopoli insieme alla madre Alya (30 anni) e al papà. Il padre, però, messa la famiglia sul pullman ha dovuto fare dietro front: per decreto non può abbandonare il Paese. Arrivati in Polonia, dopo aver cambiato mezzo, hanno fatto tappa a Pescara, dove la famiglia italiana che li ospita ha fatto arrivare un pulmino che li ha portati, dopo 30 ore di viaggio, a destinazione, nel quartiere Trieste. Ad attendere Alya e i suoi tre bambini c’è Maria, mamma e nonna spaventata. Da anni è in Italia ed è residente nell’appartamento di Renato, 70 anni, che aiuta nelle faccende domestiche. Tra di loro si è creato un legame che va oltre l’essere una badante. “Siamo vicini di casa, spiega Elena, 44 anni, impiegata in due alberghi di lusso al centro, e quando mi ha detto che avrebbe dato un letto a un’intera famiglia di ucraini in fuga dalla guerra, mi sono messa a disposizione. Ne ho parlato con mio marito Paolo, è stata una decisione importante ma non ci abbiamo ragionato troppo, perché un giorno potrebbe accadere a noi”.

Da profughi di guerra a una nuova quotidianità

Di notte tutti e tre dormono da Renato e Maria, ma di pomeriggio, dalle 5 in poi, si ritrovano tutti da Elena e Paolo, insieme ad Edoardo (14 anni) e Lorenzo (10). Fanno merenda, guardano i cartoni, giocano alla Playstation e fanno i biscotti. “Come una famiglia normale, continua Elena, anzi anche meglio. Da quando ci sono loro (sono arrivati il 5 marzo, ndr) abbiamo riscoperto una routine più gioiosa, più dinamica. A tavola mio figlio maggiore fa il buffone, si mette a fare i giochi di prestigio, prova a convincere Tony, con il suo inglese un po’ così, che la Lazio è più forte della Roma“.

Tamponi e permesso di soggiorno

Nella prima settimana di convivenza, Elena e Paolo hanno fatto già tantissimo. La Asl di via Tagliamento ha inviato i sanitari per svolgere i tamponi molecolari a tutta la famiglia, in quanto Veronika aveva la febbre. All’ufficio immigrazione hanno, poi, chiesto per il permesso di soggiorno temporaneo dalla durata annuale. “Inoltre, sempre con l’aiuto dell’Asl, spiega Elena, siamo entrati in contatto con un’assistente sociale per inserire i tre bambini a scuola. È importante che frequentino, qui nel quartiere ovviamente”.

Accogliere i profughi di guerra è una grande responsabilità

I rimbombi della guerra nel loro Paese non sono facili da smorzare. Una sera, durante la cena, al telegiornale, come sempre dal 24 febbraio, giorno dell’inizio dell’invasione russa, mostrano dei servizi sui bombardamenti e sui profughi: “Anche se non capiscono l’italiano, racconta Elena, si sono raggelati guardando le immagini. Helka in particolare si è spaventata, così mio figlio Edoardo ha preso il telecomando e ha cambiato canale”. Non sarà facile andare avanti: “Quando sento persone che chiedono come fare ad accogliere gli ucraini, finisce la telefonata Elena, mi viene da dirgli che non è come adottare un cane. Si tratta di persone con esigenze particolari, per le quali bisogna caricarsi di molte responsabilità. La scuola, i documenti, le visite mediche, i vestiti, il mangiare. Noi siamo privilegiati, ai nostri figli non è mai mancato nulla, quello che facciamo per Alya e i suoi figli viene molto anche dal nostro background personale. Ho studiato e vissuto all’estero, parlo 5 lingue, faccio beneficenza da anni. Ma non è uno scherzo”.

Per quanto tempo saranno ospitati

La famiglia del quartiere Trieste e il vicino settantenne non hanno nessuna certezza in relazione a quanto tempo dovranno ospitarli, ma la prospettiva non è breve: “Lo sappiamo bene, risponde Elena, e di sicuro stiamo pensando almeno all’estate, a cosa far fare a questi tre bambini, abituati a pescare, cacciare, correre in campagna e giocare con gli animali della loro fattoria. Come minimo dovremo mandarli in un centro estivo”. Per quel momento, probabilmente, tutti e tre parleranno abbastanza bene l’italiano. Grazie alla scuola e grazie agli sforzi di Edoardo, che ha regalato a Tony un telefono impostandogli l’alfabeto cirillico, così da poter comunicare grazie a Google e pian piano imparare qualche parola. Per ora Helka dice spesso: “Io torno Ucraina“.

Ylenia Iris

Seguici su metropolitanmagazineit

Latest articles

Altri articoli