I sonetti romaneschi di Giuseppe Gioachino Belli: tripudio di tradizioni gastronomiche, cibo e letteratura

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Giuseppe Gioachino Belli, autore dei famosi Sonetti romaneschi, è stato fra i più grandi poeti a dar voce al popolo romano della Roma pontificia del XIX secolo. Le vicende descritte nei sonetti rimandano alla descrizione del volgo, alla spontaneità e genuinità del popolo: una rappresentazione della plebe romana realistica descritta a tratti come fautrice di arguzia e saggezza che, nell’immediata naturalità di intenti, un popolo può tramandare ai suoi posteri.

Giuseppe Gioachino Belli, i Sonetti romaneschi fra cibo e letteratura: fotografia di una realtà popolare

Gioachino Belli Sonetti romaneschi

I Sonetti romaneschi di Gioachino Belli sono fotografia istantanea, in versi, di quella che è la cultura di un popolo e che, oltre a divertire, fa comprendere tradizioni e retaggi di una Roma che fu. A tal proposito, nell’introduzione ai Sonetti romaneschi il poeta scrive:

«Io qui ritraggo le idee di una plebe ignorante, comunque in gran parte concettosa ed arguta, e le ritraggo, dirò, col concorso di un idiotismo continuo, di una favella tutta guasta e corrotta, di una lingua infine non italiana e neppur romana, ma romanesca.»

Le tematiche affrontate nei sonetti romaneschi sono, essenzialmente, due; la vita popolare, genuina e non imbrigliata in etichette condizionate: ovvero un popolo che si affida alla supremazia dei potenti, che ”sopravvive” quasi come all’interno del Ciclo dei Vinti di Verghiana memoria, e si lascia andare alla superstizione e ai rituali. Mentre, dall’altra parte, vi è una vera propria critica del potere e dei suoi satelliti: la Chiesa, la politica, i magistrati, gli intellettuali. L’autore descrive la Roma Papalina paragonandola a una sorta di inferno dantesco.

Nei seguenti sonetti si descrive l’atto conviviale del cibo attraverso le diverse classi sociali: dai personaggi appartenenti ai ceti agiati come politici, Cardinali, o lo stesso Papa, fino ai ceti più umili come il ”fruttarolo” o i servi; ma, ancora, le occasioni liturgiche come la Pasqua e i momenti di condivisione in famiglia o con gli amici. I versi, tutti scritti in dialetto romanesco, mirano a ricreare una visione concreta di uno spaccato sociale del periodo sottolineando, oggi come ieri, una profonda disparità fra poveri e ricchi, partendo proprio dal cibo. Tuttavia il lirismo non manca in quanto il poeta dipinge, attraverso la letteratura, la gioia di condividere il desco con i propri cari nonostante la miseria di un pasto non proprio lauto.

Ricette e ingredienti alla base della cucina romanesca fra la metà e la fine dell’800

I Sonetti romaneschi di Giuseppe Gioachino belli sono sicuramente una grande testimonianza della vita quotidiana popolare ma anche, e soprattutto, un vero decalogo della tradizione; nelle poesie del noto autore, infatti, non sono stilate solo ricette compaiono ingredienti alla base della tradizione gastronomiche di Roma fra la metà e la fine dell’800. Nel sonetto La spesa pe ppranzo, scritto dal Belli il 13 gennaio 1847, si descrive una situazione giornaliera in cui non mancano i dettagli storici sui costumi culinari del periodo:

«Che ffamo oggi da pranzo, Crementina?»
«Quer che vvolete voi: semo in dua sole».
«Volemo fà un arrosto de bbrasciole?»
«Nun è mejjo un stufato de vaccina?»
«Uhm! l’avemo maggnato jermatina…».
«Bbe’, vvolemo allessà ddu’ cucuzzole?»
«Quelle nò, cché la panza oggi me dole,
e nun voria pijjà la mediscina».
«Dunque, mamma, che sso… ffamo li gnocchi».
«Eh, ste jjottonerie costeno care:
se ne vanno cqua e llà vventi bbaiocchi».
«Inzomma fate un po cquer che vve pare».
«Io direbbe pe mmé, ssi ttu cciabbocchi,
d’annaccene a svernà ddà la ccommare».

Tratto da Giuseppe Gioacchino Belli, Sonetti romaneschi 2, Città di Castello, S. Lapi, 1886

E, ancora, nei versi della poesia Er pranzo da nozze, datata 6 novembre 1835, l’autore regala ai suoi lettori un quadro celebrativo di una giornata importante come un matrimonio in cui, i simposi, sono spesso pingui e lauti di ingredienti e leccornie:

Sentite cosa avessimo da pranzo.
Zzuppa a mminestra cor brodo di pollo
der pollo allesso: arrosto di ripollo… (1)
Ah, un passo addietro: ci fu ppuro ir manzo.
Pessce fritto pescato a pporto d’Anzo (2)
co ggobbi (3) e ppezzi de merluzz’a mmollo:
ummido d’un crapetto (4) senza ir collo,
c’affogò (5) ttutti e nn’arrestò d’avanzo.
Una pizza, un cappone di galerra,
che ppell’ommini nostri fu una cosa
che cci saríano annati sotto terra.
Frutti, miggnè (6), ’na frittata roggnosa,
cascio e fformaggio (7); e tterminò la guerra
s’un piattón di confetti de la sposa.

Tratto da Giuseppe Gioacchino Belli, Sonetti romaneschi 2, Città di Castello, S. Lapi, 1886

Belli, addirittura, dedica un sonetto ai condimenti utilizzati nella cucina romana nella poesia Li connimenti in cui l’ingrediente principe è lo strutto, immancabile per ottenere un’ottima frittura:

Sì, è bona la cucina co’ lo strutto.
Anzi, lo strutto er barbiere m’ha detto
ch’è un condimento che fa bene ar petto
come fa er pepe c’arifresca tutto.
S’adatta ali crostini cor presciutto…
ar pollame, all’arrosto de lombetto…
a lo stufato… all’umido… ar guazzetto.
Ma adoprallo in ner fritto è un uso brutto.
Vòi frigge er pesce co’ lo strutto? Eh, zitto.
Er pesce fritto in nell’ojo va cotto:
l’ojo è la morte sua p’ er pesce fritto.
Che magnà da stroppiati! Io ne so matto.
E guarda er Papa che davero è ghiotto:
ce se lecca li baffi come un gatto.

Sonetti Romaneschi, Giuseppe Gioacchino Belli

L’aura ierocratica della Roma papalina si interseca con lo scorrere del vivere popolano composto da vicissitudini che vanno dalla religione alla politica fino alle consuetudini liturgiche, sempre attraverso lo sguardo spontaneo del vulgus; un’ottica scevra da imposizioni o artefatta, ma percepita e metabolizzata senza filtri, così come le conclusioni tratte dagli eventi della Roma del tempo da parte della plebe. L’opera belliana, in questo senso, si avvicina al picaresco per temi trattati e contesti, particolari che ben si riflettono nella poesia dialettale italiana.

Giuseppe Gioachino Belli, Sonetti romaneschi: elogio del ”Maritozzo”

Il Maritozzo è il dolce per eccellenza della colazione romana. simbolo della tradizionale gastronomia, la cui origine pare risalga addirittura all’antica Roma quando si era soliti cuocere piccole pagnotte arricchite di miele e uva passa.

Anche l’origine del nome è prettamente romana: con il termine “maritozzo” ci si riferiva a un appellativo goliardico e scherzoso che le fidanzate davano ai loro spasimanti i quali donavano alla ragazze questo dolce, il primo venerdì di marzo. All’interno del panino dolce i corteggiatori nascondevano un pegno d’amore come, per esempio, un piccolo anello o un dono simbolico. Giuseppe Gioachino Belli elogia questo dolciume, tipico della tradizione culinaria romanesca, in un sonetto:

Hai fatto er pane in casa1 eh pacchiarotta?2
parla, racchietta3 mia friccicarella.4
Perch’io t’allumo5 ccqui sta bbagattella
de patume6 all’usanza de paggnotta.

La pasta smaneggiata viè ppiú jjotta,7
dunque lasseme dà8 ’na manatella;9
eppoi fàmme assaggià la sciumachella10
c’hai ’nniscosta llí ggiú ccalla che scotta.

Io te do in cammio11 un maritozzo12 fino
de scerta pasta scrocchiarella13 e ttosta
che nun te la darebbe un cascherino.14

Sto maritozzo a mmé ccaro me costa,
e tte lo vojjo dà ssenza un quadrino:15
anzi de ppiú cciabbuscherai la posta.

Terni, 4 ottobre 1831 – D’er medemo

I Sonetti romaneschi di Giuseppe Gioachino Belli, da un punto di vista letterario, si annoverano alla produzione più corposa presente della poesia dialettale italiana dell’800. Tuttavia, i versi del Belli non sono solo una documentazione su usi linguistici, costumi e tradizioni del tempo. Quello che colpisce è l’osservazione attenta e sagace del poeta, che utilizza l’espediente della satira per raccontare usanze, norme, abitudini ma soprattutto per muovere una critica velenosa al sistema vigente spesso corrotto e oppressivo nei confronti dei più miseri. Fra i tanti meriti e fregi del poeta quello di aver dato voce e dignità letteraria alla povera gente: gli uomini comuni, costretti a quotidiane tribolazioni.

Stella Grillo

Ph: wikipedia

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