Il culto dei morti nell’antica Roma, l’idea della morte nel mondo romano

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Nell’antica Roma il culto dei morti era molto sentito, soprattutto perché i romani erano un popolo molto religioso, avevano un acuto senso del dovere e si impegnavano minuziosamente nel loro rapporto con il sacro. I rituali tradizionali non dovevano essere ”infettati” da nessuna impurità che contraddistingueva l’animo umano. Anche la morte aveva una venerazione molto particolare, sostenuta da questo profondo concetto di valori e credenze.

Il culto dei morti nell’antica Roma, ”mors” e la rappresentazione della morte

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Per gli antichi romani la personificazione della morte si identificava con Mors, successivamente personificata dalla figura di Orcus, divinità degli inferi e ctonia. Una delle testimonianze più importanti relative al culto dei morti, all’ideologia, e alle pratiche connesse alla morte nell’antica Roma la si può constatare in un’attestazione di arte funeraria databile tra il I e il II sec. d.C; il rilievo della tomba degli Haterii sulla via Lubicana a Roma. I romani credevano che le anime dei defunti, una volta trapassati, scendessero nell’Oltretomba, l’Ade greco, su cui regnava il romano Plutone. Qualche anima, poi, era anche costretta a ritornare sulla terra per qualche periodo, qualora fosse arrivata nel regno dei morti ”contaminata”. La necessità di un culto e dei rituali era importante per far sì che i defunti potessero essere accompagnati verso la dimora eterna senza possibili problemi.

È molto importante sottolineare che la religione romana si basava particolarmente sul culto degli antenati. i Lari, le divinità protettrici della casa, rappresentavano gli spiriti protettori degli antenati defunti. Agostino di Ippona nell’opera La città di Dio cita Apuleio parlando delle anime dei defunti:

«[Apuleio] afferma inoltre che anche l’anima umana è un demone e che gli uomini divengono Lari se hanno fatto del bene, fantasmi o spettri se hanno fatto del male e che sono considerati dèi Mani se è incerta la loro qualificazione.»

 I Mani  erano, invece, gli spiriti degli antenati defunti. Talvolta venivano identificati con le divinità dell’oltretomba ed erano oggetto di devozione in ambito familiare. Infine, i Penati erano gli spiriti protettori di una famiglia e della sua casa ma anche dello Stato.

Rituali fra superstizione e tradizione

Il rituale funerario comportava degli atti o dei comportamenti specifici volti alla purificazione. La morte, infatti, era vista come un processo di contaminazione; per cui chi restava in vita doveva offrire sacrifici ed espiazioni. Un’altra idea fondamentale per cui i rituali dovevano necessariamente esser compiuti in un certo modo, era che lasciare un defunto privo di sepoltura poteva diventare causa di sventure per chi rimaneva in vita; ma anche perché il comportamento di chi era ancora sulla terra si andava a riflettere sul futuro destino dell’anima del defunto.

Nell’antica Roma si era soliti stringersi accanto al letto di un moribondo, quando la morte stava per sopraggiungere; lo scopo era far sì che quest’ultimo sfogasse il proprio dolore prima di abbandonare la terra e, al contempo, ricevere conforto. In seguito il parente più stretto gli dava un ultimo bacio: un atto volto a trattenere l’anima in quanto, secondo alcune credenze popolari, l’anima abbandonava il corpo insieme all’ultimo respiro. Una volta morto, i parenti gridavano, piangevano e urlavano il nome del trapassato fino alla sepoltura. Questo passaggio era noto come ”conclamare”.

Successivamente, si passava al ”deponere”: si sollevava il cadavere dal letto appoggiandolo a terra. Qui si lavava, si ungeva con vari oli e unguenti e si procedeva alla vestizione. Si poneva una corona sul capo e una moneta in bocca: la moneta serviva a pagare il viaggio nell’aldilà a Carone, il traghettatore di anime, secondo la nota credenza. In seguito si esponeva la salma nel lectus funebris, con i piedi rivolti verso la porta di casa. Il feretro era esposto nell’atrium della propria casa, in posizione supina, adornato con oggetti di uso personale.

Le festività romane e i defunti: Feralia, le feste per placare gli spiriti dei defunti

Feralia erano delle antiche festività pubbliche celebrate il 21 Febbraio. Lo stesso giorno si si segnava la fine dei Parentalia: un periodo di nove giorni dedicati al culto dei defunti della famiglia (Parentes). I cerimoniali si svolgevano dal 13 al 21 Febbraio. Il nome della festività, Feralia, deriva dal verbo latino fero che significa portare. In questa giornata, infatti, si offrivano doni ai defunti come fiori, grano, sale, pane imbevuto di vino e viole, fiori che sbocciano nel mese di febbraio. Si pensa che queste offerte fossero state introdotte da Enea che, sulla tomba del padre Anchise, aveva versato del vino e delle violette.

Una credenza dell’antica roma era che le anime vagassero sulla terra per nove giorni e si nutrissero delle vettovaglie preparate dai vivi. Questi sacrifici, per lo più, servivano a placare le anime dei trapassati e a renderli inoffensivi nei confronti dei vivi, grazie all’aiuto dei Mani. Febbraio era l’ultimo mese dell’anno nell’antico calendario romano:  per i romani era il mese della purificazione dedicato alla Dea Febris e, quindi, volto sia ai riti di purificazione che al culto dei morti. Una credenza comune, infatti, era quella che nel passaggio fra i due cicli temporali i defunti potessero tornare nel mondo dei vivi.

Il culto dei morti nell’antica Roma: i Lemuralia, le feste degli spiriti della notte

I Lemuria erano le celebrazioni rivolte lemuri, ovvero, gli spiriti della notte. I  “lemures” erano indicati come gli equivalenti dei fantasmi; erano anime che non trovavano pace poiché deceduti a causa di una morte violenta. Il mito racconta che tornavano sulla terra per tormentare i vivi, perseguitandoli, fino a portarli alla pazzia. È Romolo a istituire i Lemuralia poiché tormentato dallo spirito del fratello Remo ucciso. Secondo alcuni storici la tradizione legata dei Lemuralia pare fosse un culto erede della festa di Tutti i Santi: la celebrazione sparisce definitivamente con Papa Bonifacio IV, il 13 maggio del 610: nell’VIII sec, il cerimoniale si sposta al 1 Novembre. Papa Gregorio III fissa l’anniversario in questa data consacra una cappella nella basilica di San Pietro a tutti i Santi.

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