Il ghetto ebraico di Roma è uno dei più antichi del mondo, secondo solo a quello di Venezia. Tristemente noto per esser stato luogo di soprusi, violenze e in ultimo del rastrellamento nazista. Era il 16 ottobre 1943 quando la milizia nazista catturò più di mille ebrei che abitavano il ghetto deportandoli nel campo di concentramento di Auschwitz. La maggior parte di loro non fece ritorno. Il ghetto ebraico oggi però rappresenta una parte importante di Roma con testimonianze storico artistiche di grande valore che lo caratterizzano, rendendolo un posto unico.
La presenza degli ebrei a Roma risale al II secolo a.C. Per diversi secoli gli ebrei abitarono le zone di Trastevere, e solo dopo l’anno 1000, per esigenze di carattere pratico, cominciarono a migrare verso l’Isola Tiberina e la sponda sinistra del fiume Tevere unita dal Ponte Quattro Capi ( o Ponte Fabricio), poi chiamato “Pons Judaeorum“. Nell’area si eresse una cinta muraria che poi si rivelò una prigione. La convivenza tra gli ebrei e i romani fu pacifica e collaborativa fino al 12 luglio del 1555.

Il ghetto ebraico di Roma, zona di confinamento
Dopo quella data infatti Papa Paolo IV, con la bolla “Cum nimis absurdum“, revocò tutti i diritti concessi agli ebrei romani e ordinò l’istituzione del ghetto, chiamato “serraglio degli ebrei“. La zona destinata al confinamento sorse nel rione Sant’Angelo, dove col tempo si era concentrata la popolazione ebraica. Le mura del ghetto erano inizialmente dotate di due porte che regolavano le uscite e l’accesso alla zona. Queste erano aperte al mattino e chiuse alla sera. Col tempo, dato il notevole aumento della popolazione ebraica, il numero delle porte sali fino ad 8.
La bolla papale prevedeva per la popolazione ebraica vari obblighi ai quali tutti dovevano sottostare, e regole alle quali dovevano rigorosamente attenersi. Tra questi c’era l’obbligo di risiedere esclusivamente entro i confini del ghetto. Gli uomini erano obbligati ad indossare un berretto che diveniva automaticamente, segno di distinzione tra i sessi. A tutti gli ebrei era fatto divieto di praticare qualunque tipo di attività commerciale ad esclusione della vendita di stracci e abiti usati, inoltre era impedito loro il possesso di beni immobili. Quest’ultima restrizione portò ad un inevitabile degrado delle abitazioni.

Il ghetto ferito dal rastrellamento nazista
Nel tempo e sotto il controllo dei vari Papi che si succedettero, il ghetto subì vari ampliamenti fino ad arrivare ad un’estensione di più di tre ettari. Una svolta per il popolo ebraico di Roma si ebbe il 10 febbraio 1798, quando le truppe francesi, entrarono in città. Pochi giorni dopo con la proclamazione della Prima Repubblica Romana, il comandante francese proclamò la parità di diritti degli ebrei riconoscendo loro la piena cittadinanza. La nuova condizione però durò pochi anni. Infatti Papa Pio VII e Leone XIII restaurarono nuovamente il confinamento degli ebrei. Questa condizione aberrante si protrasse fino al 1870.
Con l’annessione di Roma al Regno d’Italia, il potere temporale dei papi decadde, ed il ghetto definitivamente abolito. Purtroppo però la storia avrebbe riservato al popolo ebraico un’ulteriore devastante ferita. Il 16 ottobre 1943, infatti i nazisti dopo aver circondato il quartiere alle prime luci del giorno, rastrellarono 1023 persone tra uomini, donne, anziani e bambini. Deportati al campo di concentramento di Auschwitz soltanto 16 fecero ritorno, tra loro una sola donna e nessun bambino. Da allora l’aspetto del ghetto è decisamente mutato. Con l’attuazione di vari piani urbanistici e la costruzione dei muraglioni a difesa delle frequenti inondazioni dovute dalle piene del Tevere, buona parte del vecchio tessuto urbanistico non esiste più. Nonostante tutto nella zona sono rimasti i principali punti di riferimento della comunità ebraica romana.
di Loretta Meloni
Immagine di copertina (Ghetto di Roma) photo credit: il murodellamemoria.it