Dal 26 al 30 aprile va in scena al Teatro Tordinona di Roma LINGUA MATRIGNA; spettacolo tratto da “L’Analfabeta” di Agota Kristof, diretto da Marinella Anaclerio e interpretato da Patrizia Labianca.
Lingua Matrigna, al Teatro Tordinona dal 26 al 30 Aprile
Dal 26 al 30 aprile va in scena al Teatro Tordinona di Roma LINGUA MATRIGNA; spettacolo tratto da “L’Analfabeta” di Agota Kristof, diretto da Marinella Anaclerio e interpretato da Patrizia Labianca.
Di notte, Agota è sola nella sua casa con un registratore e, come Krapp o come un medico legale durante un’autopsia, passa a setaccio la sua vita. O meglio la misura…nelle sue perdite e nelle sue conquiste. Assistiamo al suo tirar le somme sulla sua vita, la vita di una profuga che mai è riuscita a smettere di pensare di essere fuori luogo, fuori dal suo luogo.
Agota Kristof è nata in Ungheria nel 1935. Il padre è un insegnante, l’unico insegnante del suo piccolo paese. A 14 anni entra in collegio. Nel 1956 lascia clandestinamente l’Ungheria. È la storia di una bambina poi ragazza e poi donna, costretta ad abbandonare la sua terra natale insieme al marito e figlia neonata; quando l’Armata rossa interviene in Ungheria per sedare le rivolte popolari per rifugiarsi in Svizzera. Sfida il freddo, la povertà, la sofferenza, la fame, la solitudine e la mancanza di qualcosa; la conoscenza della lingua.
Con la perdita della Madre Patria, si diventa orfani della Madre Lingua.
“ Come spiegargli, senza offenderlo, e con le poche parole che so di francese, che il suo bel paese non è altro che un Deserto, per noi rifugiati, un deserto che dobbiamo attraversare per giungere a quella che chiamiamo “ integrazione”, “assimilazione”?.
Un’autobiografia
In questa autobiografia scarna ma precisa, com’è il suo stile, la Kristof analizza e racconta la natura del suo disagio più grande nella condizione di profuga; la perdita di identità intellettuale. Incapace di esprimersi e di capire cosa le succede attorno, non conoscendo la lingua francese, si definisce muta e sorda. Ed è questo che la messa in scena vuole urlare in silenzio allo spettatore…. Qual è lo stato d’animo di urgenza comunicativa non sorretta da mezzi espressivi adeguati, l’inquietudine che prova chi approda da profugo in terra straniera, chi da anziano non è messo nelle condizioni di capire i nuovi mezzi di comunicazione pur costretto ad usarli, o ancora più semplicemente l’incomunicabilità tra generazioni differenti, come tra Agota e sua madre….Poche le parole che si scambiavano nella sua infanzia, nessuna nella sua adolescenza in collegio e poi oltre confine… fino ritrovarsi orfani di madregenitrice e madre lingua insieme, lontano da quel posto “dove ogni cosa aveva un nome noto, ogni stato emotivo aveva delle parole per descriverlo…”
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