I pronto soccorso della città di Roma sono in tilt, con 55 mezzi bloccati ed il fenomeno del “blocco barella” che arreca sempre più disagi. Il sindacato denuncia: «con l’aumento dei contagi i problemi sono diventati ancora più evidenti».
Pronto soccorso in tilt: il sindacato denuncia il fenomeno del “blocco barella”

L’aumento dei contagi causati dalla diffusione del COVID-19 a Roma e in tutta la regione Lazio ha fatto riemergere uno dei principali problemi che gli ospedali hanno dovuto affrontare nel pieno della pandemia: la mancanza di posti letto ed il personale medico in subbuglio. Almeno 55 ambulanze sono state bloccate e trasformate in pronto soccorso mobili per provvedere alla cura dei pazienti COVID o di quelli non gravi: così facendo sono impossibilitate dal muoversi e, se lo fanno, è con parecchie ore di ritardo. Risale al 6 luglio la testimonianza di un infermiere, Davide Laurenti, che sui social ha scritto: «Se venite a Roma e vi sentite male non potete fare altro che pregare. La signora purtroppo ha avuto un malore, è qui sdraiata da due ore e mezza. Ho sollecitato personalmente il 118 quattro volte, parlato con la collega della centrale: le ambulanze sono tutte bloccate». Il segretario di NurSind Ares 118, Alessandro Saulini, denuncia: «Serve potenziare il sistema con l’aumento di risorse strumentali. Tradotto, servono più ambulanze sul territorio ma non con soluzioni tampone. Ora sembrerebbe che anziché prenderli in leasing e con a bordo personale 118 specializzato, sia meglio prendere mezzi dal privato condotti da autisti».
In poche parole, è necessario un servizio di “taxi” per mettere in collegamento gli ospedali del territorio di Roma e le abitazioni di chi richiede l’intervento di un’ambulanza. Tuttavia, i sanitari non sembrano essere d’accordo: «Gli equipaggi sono coordinati. Lavorano in sinergia non si possono smembrare così. Siamo vicini al collasso nonostante gli sforzi del personale. Da mesi stiamo riscontrando un vero e proprio esodo sia da parte dei colleghi più anziani che chiedono di essere trasferiti altrove, sia dei neoassunti che in qualche caso arrivano addirittura a licenziarsi perché non ce la fanno più a lavorare in queste condizioni».
Maria Claudia Merenda
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