Roma e l’assedio dei cinghiali: intervista all’etologa Federica Pirrone

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La scorsa settimana l’Italia ha assistito a un episodio di violenza indiscriminata: 7 cinghiali, di cui sei ancora cuccioli, sono stati abbattuti in Giardino Mario Moderni, in via della Cava Aurelia. L’opinione pubblica è rimasta indignata dall’episodio, poiché gli animali potevano essere trasportati in sicurezza in aree già individuate dalla Regione Lazio su richiesta di Roma Capitale, come riportato nel Protocollo sottoscritto da Comune e Regione il 27 settembre 2019. Animalisti e cittadini chiedono risposte ai loro interrogativi, mentre l’Amministrazione cerca di offrire ai media e a tutto il popolo degli indignati un capro espiatorio su cui far ricadere la colpa per l’accaduto.

Problema cinghiali a Roma: l’intervista

Troppe domande rimangono ancora senza risposta; oggi, però, la Dottoressa Federica Pirrone, nota Etologa e professoressa di Etologia presso l’Università degli Studi di Milano, ci aiuterà a fare chiarezza.

Roma e l’assedio dei cinghiali: secondo il suo parere di esperta in comportamento, che cosa avrebbe spinto gli animali ad avvicinarsi a tal punto all’uomo?

Le specie selvatiche non entrano in città per avvicinarsi all’uomo. […] Esse, soprattutto quelle sempre più apertamente “commensali” come i cinghiali, entrano, e permangono nei centri urbani se vi trovano una nicchia alimentare utile rappresentata dalla disponibilità di rifiuti. Se non ci sono rifiuti facilmente accessibili, gli animali non entrano, o entrano meno, e soprattutto non si fermano, richiamando, così, altri conspecifici. Funziona in questo modo: i gruppi di animali sono composti da soggetti con diverse personalità, come si legge bene nei preziosi articoli scientifici dell’etologo Claudio Carere, dell’Università degli Studi della Tuscia, e di Gianni Laviola, dell’Istituto Superiore di Sanità, e come, ultimamente, stiamo studiando anche noi all’Università degli Studi di Milano. Tra i diversi tipi di personalità, ci sono gli esploratori: sono questi gli individui più curiosi […]. Si tratta, in generale, degli individui più propensi ad allontanarsi, a penetrare negli ambienti e ad assaggiare cibi nuovi. Dopo di che, però, arriva tutto il gruppo a banchettare. È la trasmissione sociale il meccanismo fondamentale, non il singolo individuo”.

Molti cittadini residenti nella Capitale hanno diffuso sui social network filmati di incontri ravvicinati con alcuni esemplari; la reazione più comune è la paura di una possibile aggressione. Ritiene che i cinghiali siano pericolosi sotto questo punto di vista e che quindi rappresentino una concreta minaccia per gli abitanti?

“Ancorché siano riportati attacchi all’uomo da parte di cinghiali, la ricerca ha dimostrato che si tratta di eventi molto rari (vedere, ad esempio, John J. Mayer. Wild Pig Attacks on Humans. B. Armstrong, G. R. Gallagher, Eds. Proceedings of the 15th Wildlife Damage Management Conference. 2013), attribuibili ad animali che hanno subito una minaccia, reale o percepita, da parte dell’uomo e del suo comportamento. Si tratta per lo più di inseguimenti, senza contatto fisico, messi in atto da animali feriti durante le battute di caccia o da madri con prole da proteggere al seguito. Si deve considerare che il cinghiale è un suino selvatico, e dunque un animale non propenso ad interagire strettamente con gli esseri umani. Questo lo rende timido, si può dire, ma anche potenzialmente imprevedibile. Certo, è uno dei più grandi mammiferi terrestri a vita libera nell’Europa centrale, e questo, in un attacco fisico, lo rende potenzialmente molto offensivo”.

Come ci si dovrebbe approcciare a questi animali?

“L’approccio corretto è quello di evitare quanto più possibile gli incontri ravvicinati e i tentativi di interazione”.

Il Protocollo firmato il 27 settembre 2019 prevedeva la possibilità di catturare e portare gli animali in aree sicure. Come giudica la scelta di procedere con l’abbattimento?

“Allora, rispondo ponendo a mia volta qualche domanda. Innanzitutto, a chi spetta, in generale, gestire l’accessibilità dei rifiuti alle specie che entrano? Alle autorità. L’hanno fatto? Non direi, nonostante i ripetuti richiami della comunità scientifica. Alla luce di ciò, mi chiedo: è coerente che chi ha la responsabilità di impedire, o limitare, l’avvicinamento ai centri urbani di specie selvatiche, e non lo fa, poi risolva la situazione uccidendole? E, ancora, bisogna chiedersi: è lecito sparare in città a esseri viventi senzienti, ignorando completamente, peraltro, la sensibilità pubblica? Mi risulta che molti cittadini presenti si siano tenacemente ribellati a questa soluzione. Le autorità dovrebbero ricordarsi di tener conto della sensibilità e della coscienza popolare non solo per guadagnare consenso al momento delle elezioni, ma anche in queste circostanze concrete e reali”.

Questo non è il solo caso in Italia di negligenza in materia di gestione della fauna selvatica. Secondo lei, perché le nostre Amministrazioni trovano così tante difficoltà? È possibile una convivenza pacifica con gli altri animali?

“Le autorità devono dimostrare che hanno voglia di intervenire e la soluzione passa necessariamente per uno step cruciale e imprescindibile: la collaborazione tra Amministrazioni. Le autorità comunali, se la competenza è primariamente loro, devono spingere formalmente sulle autorità regionali o provinciali per programmare e mettere in atto i corretti protocolli di prevenzione e di intervento. Sappiamo che l’elevato tasso di riproduzione, la grande capacità di adattamento ai diversi ambienti e la diffusa mancanza di predatori, gli orsi, ad esempio, o i lupi, che pur sono tornati recentemente, favoriscono l’aumento delle popolazioni di cinghiali e l’espansione dei loro areali in Europa. La gestione di queste specie deve quindi includere misure di prevenzione della riproduzione, ad esempio attraverso l’utilizzo di antifecondativi farmacologici, e il riequilibrio dell’ecosistema, non ostacolando la presenza di predatori”.

Il ruolo di etologi e veterinari: ritiene che questi esperti siano consultati opportunamente o c’è forse bisogno di coinvolgerli di più?

“Per usare le recenti parole dell’etologo Enrico Alleva, Accademico dei Lincei e Presidente della FISNA (Federazione Italiana delle Scienze della natura e dell’Ambiente), gli etologi studiano il comportamento animale, e spesso sono molto sensibili alla sofferenza psicofisica animale, che proprio loro da mezzo secolo hanno dettagliato, insegnato a misurare e soprattutto a evitare o, almeno, a ridurre. I medici veterinari, d’altra parte, hanno le competenze necessarie per la gestione sanitaria e riproduttiva degli animali. Dunque, sì, medici veterinari ed etologi vanno certamente coinvolti molto di più, affidando loro ruoli operativi e di vigilanza fondamentali”.

Esistono delle buone pratiche che i cittadini possono adottare per scoraggiare l’avvicinamento degli animali ai centri urbani?

“I cittadini non devono avere timore della fauna selvatica con cui, in un ecosistema equilibrato, si può, anzi si deve, convivere pacificamente. L’importante è che contribuiscano a tenere pulite le strade e imparino a gestire la naturale curiosità verso queste specie in sicurezza, mantenendo, cioè, le dovute distanze ed evitando di offrire loro cibo. Ho letto che, nell’episodio di Roma, molti bambini avevano trascorso il pomeriggio condividendo la merenda con questa famiglia di cinghiali apparentemente di indole docile. Ecco, questi comportamenti, che pur nascono dalla parte sensibile della società umana, non sono opportuni. Tutto ciò richiama, ancora una volta, al ruolo fondamentale delle Amministrazioni, su cui ricade la responsabilità di mettere in atto adeguate politiche di informazione, di educazione e di sensibilizzazione della cittadinanza al corretto rapporto con gli animali urbani e con la fauna selvatica”.

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