Zona arancione o zona gialla per Roma e il Lazio? Se ieri mattina i ristoratori hanno tirato un sospiro di sollievo all’idea dell’addio alla zona arancione, oggi sono nuovamente confusi e arrabbiati dall’ulteriore cambiamento di scenario. Nonostante i dati sui contagi siano in calo, infatti, non è detto che il Ministero della Salute dia l’okay al passaggio di zona. L’assessore alla Sanità Alessio D’Amato ha spiegato che “sul ritorno in zona gialla bisogna attendere le valutazioni dell’Istituto superiore di sanità e le successive determinazioni del Ministero della Salute“.
La rabbia dei ristoratori: sarà zona gialla?
Restare in zona arancione significherebbe per i ristoratori romani perdere 50 milioni di euro per mancati incassi in una settimana. Lo sconcerto davanti alla notizia che nonostante il calo dei contagi, delle occupazioni delle terapie intensive e dell’Indice Rt (ora al di sotto dell’1%) ha presto lasciato il posto alla rabbia. Le conseguenze, secondo il capo della Fipe Confcommercio, si faranno sentire. “Sarà difficile mantenere la calma della ristorazione romana” asserisce Paolantoni.
I ristoratori, infatti, stanno già mostrando la propria agitazione davanti alla possibilità di un ulteriore ritardo del passaggio alla zona gialla. Si aprirà o no? A pranzo potremo ospitare clienti? Non avendo una risposta certa a queste domande, non possono accettare prenotazioni né dare indicazioni su quando apriranno. Ma i ristoratori “non sono degli interruttori che si accendono e spengono a piacimento” sostiene giustamente Enrico Pierri, titolare de “Il San Lorenzo“. “Mesi fa ero arrabbiato, ora sono rassegnato, in 67 giorni abbiamo lavorato solo 8 giorni. Se l’obiettivo è farci riaprire quando arriveremo in zona bianca che lo dicessero. E’ diventata una barzelletta e rischia di aprire scenari ben più critici: in sole 48 ore ho ricevuto quattro telefonate di intermediari che mi chiedevano se fossi interessato ad acquistare un ristorante in centro storico“.
La necessità del passaggio in zona gialla spiegata dai ristoratori
Le problematiche in relazione alla situazione che stanno vivendo i ristoratori in attesa di risposte sono tante. Alessandro Camponeschi, titolare dell’omonimo ristorante situato in Piazza Farnese afferma che è maggiormente auspicabile la chiusura di un locale da un giorno all’altro, come successo nel weekend del 16 gennaio. “Dopo due settimane di chiusura ci sono le macchine da pulire perché si ossidano e da riaccendere oltre alla spesa da fare“.
Dall’esperienza natalizia, i ristoratori hanno tratto degli insegnamenti. ” Per Natale avevo ordinato pesce da San Benedetto e poi l’ho dovuto portare a casa, stavolta la spesa non la faccio fino a che non ho la certezza di riaprire” asserisce Enrico D’Angeli, titolare del Grottino del Laziale“.
“Abbiamo un mercato biologico aperto anche la domenica – questa è la voce di Elisabetta Girolami del Ristoro degli angeli alla Garbatella – se mai ci dovessero far riaprire, mi sveglierò all’alba e preparerò la metà dei menù“. Il pensiero di investire e poi dover buttare gli acquisti non è più accettabile da parte dei ristoratori. In molti hanno optato per il delivery o l’asporto in modo tale da non inficiare la qualità dei prodotti. Questa soluzione, però, non è valida per tutti. “Pensa a portare una cacio e pepe a casa e vedi come il cliente ti abbandona” spiega D’Angeli.
La resa dei dipendenti che aspettano la zona gialla
Oltre al fronte dei ristoratori occorre considerare, poi, il fronte dei dipendenti. Fabiano Lo Faro, titolare dell’Osteria Circo, ha dieci persone tra sala e cucina. Afferma che hanno arretrati di due o tre mesi sulla cassa integrazione anticipata da lui stesso nell’attesa che giungessero i ristori. Tutti vorrebbero tornare a lavorare ma l’attesa sta diventando troppo lunga. Mentre i locali sono vuoti, i lavoratori a braccia conserte e i ristoratori preoccupati, le spese non si fermano e gravano su una categoria che si sente sola, abbandonata ad un destino incerto.
Valentina Trogu
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Fonte: Il Messaggero