Votare nell’Antica Roma: candidati, campagna e propaganda elettorale

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Votare nell’Antica Roma aveva un preciso iter da seguire. Anche all’epoca dei consoli esistevano le elezioni, i candidati e una minuziosa modalità da rispettare per farsi eleggere, insieme alla tanto amata e odiata propaganda elettorale.

Votare nell’Antica Roma: da dove deriva il termine candidato e la toga nivea come simbolo di purezza

Votare Antica Roma
Credits: Dreamstime.com

Il voto nell’Antica Roma avveniva, come oggi, attraverso elezioni, candidati e propaganda elettorale, con delle precise modalità da seguire e rispettare.

Il canditatus (candidato) era un cittadino che si presentava alle elezioni per ricoprire una carica politica o amministrativa. La storia etimologica del termine candidato è molto curiosa; sostanzialmente, il termine si riferiva a ciò che i candidati indossavano come indumento per farsi riconoscere. Coloro che volevano farsi votare per una carica politica erano soliti indossare una toga di un bianco intenso e lucente, candido per l’appunto, e proprio da qui deriverebbe il sostantivo candidato. La toga era una sopravveste in lana, o anche di un altro tessuto, che si indossava di solito sopra la tunica. Il suo utilizzo era connesso all’appartenenza di una specifica professione o categoria sociale. In latino, infatti, il termine toga rimanda al verbo tego che si traduce, letteralmente, con ”ricoprire”. In pieno clima elettorale la sopravveste diveniva un vero e proprio simbolo, tanto che il bianco non proprio niveo della lana era trattato con agenti sbiancanti ad hoc che portavano il tessuto a una tonalità più candida possibile. Il bianco era infatti un vero e proprio status che designava purezza, per cui si utilizzava come segno distintivo del candidato in questione.

Modalità di candidatura

I cittadini che volevano candidarsi erano chiamati a presentare una dichiarazione ufficiale di candidatura attraverso una professio nominis, ovvero, un vero e proprio consiglio che, in seguito, avrebbe pubblicato la lista, l’accettazione e la pubblicazione ufficiale dei papabili candidati. La lista era nota come proscriptio, l’accettazione della candidatura si definiva invece professiones petentium.

Ogni primavera i cittadini erano chiamati a eleggere le magistrature delle città attraverso le elezioni di due duoviri, che presiedevano il potere esecutivo, e due aediles a cui spettavano i servizi pubblici. I nomi si riportavano sulle tabulae dealbatae, delle lavagne esposte nel Foro. In seguito, il candidato organizzava comizi in cui rivolgendosi al populus elencava le proprie promesse o virtù.

Votare nell’Antica Roma, il Cursus Honorum e il consolato

Nella storia romana, per esempio, il consolato era l’apice del Cursus Honorum; ovvero le cariche pubbliche a cui si poteva accedere in base alla propria condizione. Le magistrature sopravvissute alla fine della repubblica erano: consolato, la pretura, il tribunato plebeo, l’edilità, la questura e il tribunato militare. Tecnicamente ogni ufficio aveva un’età per cui presentarsi alla possibile elezione e alcune leggi proibivano la reiterazione di un determinato ufficio. Norme che, tuttavia, sarebbero poi sfumate o ignorate specialmente nell’ultimo secolo della Repubblica.

Per esempio, l’età minima per l’elezione di un console era circa di 40 anni per i patrizi e 42 per i plebei; tuttavia, nel corso della storia, si sono registrate delle eccezioni come il caso di Marco Valerio Corvo console a soli 23 anni, nel 349 a.C, che in seguito ricopre la carica per quattro volte fino ai 40 anni. Nel caso dei consoli, oltre a una condotta adeguata e all’obbligo di essere cittadini romani, era necessario essere abbienti finanziariamente. Le cariche pubbliche, infatti, non erano retribuite; gli stessi magistrati dovevano compiere atti di generosità verso la propria città. Le spese elettorali, poi, erano molto alte e tutte a carico del candidato; il rimborso era previsto tramite l’ornatio ma solo ed esclusivamente in caso di elezione. Ragion per cui, come anche sosteneva Cicerone, chi non aveva i mezzi per fronteggiare una campagna elettorale e la carriera politica avrebbe fatto bene a starsene in disparte.

I due consoli della Repubblica rappresentavano la massima carica del Governo. Oltre a presiedere comizi centuriati – assemblee cittadine – e a detenere il supremo potere civile e militare a loro spettava, come asserisce lo storico greco Polibio:

«Spetta ai consoli occuparsi di convocare i comizi, proporre le leggi e presiedere all’attuazione dei decreti popolari, in quei settori della pubblica amministrazione dove ha competenza il popolo.»

Campagna elettorale e propaganda

Per far sì che la propria elezione andasse a buon fine bisognava intessere un’ampia rete di contatti, sia con gli elettori che con gli imprenditori del tempo. I consoli si eleggevano ogni anno, ma la campagna elettorale si svolgeva durante l’estate dell’anno precedente. In sostanza, i candidati dovevano avere l’appoggio di persone influenti, quali costruttori commercianti o imprenditori, per condurre la campagna elettorale in cambio di favori futuri.

Ma come avveniva la campagna elettorale? Semplicemente scrivendo sui muri, tramite cartelli elettorali. Il mezzo di propaganda più immediato ed efficace era infatti la pubblicità; gli slogan erano dipinti sui muri proprio per giungere in modo repentino ai cittadini e cogliere la loro attenzione. Si trattava per lo più di iscrizioni parietali, dette ”Programmata”, in cui si evidenziava il nome del candidato, la nomina per cui concorreva e anche i nomi di chi sosteneva il candidato che invitavano i cittadini a votare. Insomma, gli antenati di coloro che oggi si potrebbero definire sostenitori di partito.

Gli scriptores erano,invece, coloro i quali si occupavano di scrivere i testi per fare propaganda. Di solito era un lavoro che si svolgeva di notte, quando la città era più tranquilla. Il lavoro degli scriptores era abbastanza minuzioso, tanto che vi era una vera e propria gerarchia interna con ognuno la propria mansione: uno scriptor professionista, gli ausiliari, un imbianchino (dealbator), lo scalarius ( colui che forniva le scale) e un lanternarius, la cui mansione era far luce.

Differenze con le campagne elettorali moderne

Votare nell’Antica Roma significava anche sottolineare le qualità morali di colui che si candidava. A differenza delle campagne elettorali di adesso i manifesti pubblicitari sui muri, e tutta la propaganda che ne conseguiva, non esponevano il programma politico, né si elargivano promesse elettorali in cambio di voti. Le iscrizioni, infatti, servivano a evidenziare le virtù del candidato in modo tale che apparisse consono e con un’etica degna di occuparsi della res pubblica. Accanto al nome del papabile candidato si abbinavano aggettivi che definivano le qualità di chi si presentava. Alcune iscrizioni riportavano definizioni come:

  •  vir bonus et egregius (galantuomo)
  • frugis (parco), integrus (integerrimo) 
  • innocens (incapace di far del male)

Alcuni cartelli elettorali ritrovati a Pompei e risalenti al 79 a.C. riportano:

  • Se si ritiene che la virtù valga qualcosa nella vita, Lucrezio Frontone è degno di essere eletto alla carica.
  •  Vi prego di eleggere Elvio Sabino come edile, degno dello Stato, uno buono.

Ma tuttavia non mancava la contro propaganda, ovvero, dei commenti ironici rivolti agli aspiranti ricoprenti delle cariche pubbliche:

”Mi meraviglio, o parete, che tu non sia ancora crollata sotto il peso delle scempiaggini di tanti scribacchini”.

Non tutti potevano esercitare il diritto di voto, né essere votati, come per esempio le donne, gli schiavi e i liberti. Tuttavia le donne potevano assumere un ruolo attivo nella campagna elettorale, sostenendo un aspirante candidato attraverso gli inviti murali. Il giorno delle elezioni si convocavano tutti quei cittadini che avevano diritto di voto. La preferenza era espressa attraverso una tavoletta depositata in un’urna sul tavolo elettorale situato nel Foro.

C’era poi, oggi come ieri, la questione del favoritismo politico. Nell’Antica Roma votare significava anche aggirarsi attraverso sistemi di compravendita di voti e corruzione; di solito, le due circostanze erano esercitate mediante lauti simposi, doni e ludi. Insomma, era facile incorrere in dietrologie per far sì che un candidato fosse più favorito rispetto a un altro. Visti gli andazzi, è proprio il caso di citare la sempreverde locuzione di Cicerone tratta dal suo discorso di apertura contro Catilina che, oggi come a quei tempi ,cade a pennello: O tempora, o mores!

Stella Grillo

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